La scommessa del Pri/Nel Gruppo misto come garanzia per la nostra autonomia Costruire la liberaldemocrazia che manca di Italico Santoro Il Partito Repubblicano Italiano sta attraversando una fase particolarmente delicata della sua lunga storia politica. Per un verso, il passaggio da una legge maggioritaria ad una proporzionale con sbarramento e premio di maggioranza ha privato i piccoli partiti di quella "utilità marginale" che li ha resi "appetibili" fino al 2006. Per altro verso, c'è nell'opinione pubblica una spinta in favore delle grandi aggregazioni, alimentata dal giudizio negativo circa il ruolo svolto dalle formazioni minori, soprattutto durante i due anni dell'ultimo governo Prodi. In questo giudizio non del tutto infondato, ma sicuramente troppo sommario vengono accomunate forze politiche improvvisate, nate come funghi negli anni novanta, e partiti con radici storiche che molto hanno dato allo sviluppo democratico del paese. D'altro canto, non prenderne atto sarebbe un errore. Così come sarebbe un errore dimenticare che non è la prima volta, per il Partito Repubblicano, entrare in un tunnel senza la certezza di rivedere la luce. Cerchiamo allora di fare chiarezza e di guardare a quali condizioni è possibile salvare il grande patrimonio ideale che è dietro di noi contribuendo nello stesso tempo alla costruzione del futuro che è davanti a noi. La prima domanda che dobbiamo porci è la più cruda. C'è ancora una possibilità di sopravvivenza per un partito come il PRI all'interno di un sistema che da bipolare rischia di trasformarsi in bipartitico? E' una domanda cruda ma legittima. Nella storia tutto è provvisorio, e ovviamente lo è anche l'esistenza politica dei repubblicani. Eppure non siamo convinti che il PRI sia giunto al capolinea. In primo luogo, perché la tendenza al bipartitismo è ben lungi dall'essersi trasformata in un compiuto sistema istituzionale. In secondo luogo, perché si avvertono all'interno di questo processo incompiuto segnali sempre più evidenti di insofferenza: nel centrodestra, dove la Lega rivendica la sua autonomia e la fusione tra Forza Italia e Alleanza Nazionale è per ora rinviata a data da stabilirsi; nel centrosinistra, dove secondo una efficace espressione giornalistica "margherita e diessini già vivono da separati in casa". E infine e questo è forse l'argomento più importante rimane irrisolto il problema del rapporto tra le forze politiche italiane e quelle europee. Se il centrodestra sembrerebbe riconoscersi per intero (con l'eccezione della Lega) nel popolarismo, un grosso punto interrogativo esiste tuttora ad un anno soltanto dalle elezioni per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo nella futura collocazione del Partito Democratico. E restano oltretutto incerti nel Parlamento italiano i riferimenti del socialismo europeo la cui storia non ci appartiene ma è comunque importante e a dir poco improvvisati quelli della liberaldemocrazia, di cui siamo invece espressione. C'è insomma una partita ancora da giocare, nell'ambito di un sistema politico-istituzionale che appare lungi dall'essersi stabilizzato. Questa partita forse sarebbe meglio dire questa scommessa, perché è di una scommessa che si tratta può essere giocata solo attraverso la coerente e tenace costruzione di un'area liberaldemocratica: un'area che, senza voler perseguire obiettivi irrealistici come quelli di un improbabile centro autonomo dai due maggiori schieramenti, definisca di volta in volta le sue alleanze fondandole sui contenuti dell'azione politica. Secondo una tradizione che peraltro ai repubblicani è ben nota. Ma questa strategia bisogna esserne consapevoli può essere perseguita solo con la difesa dell'autonomia organizzativa delle forze liberaldemocratiche; e, quando ne dovessero esistere le condizioni, mediante la caratterizzazione politica sulle questioni concrete che dovranno essere affrontate in futuro. Un'autonomia che peraltro, senza una collocazione parlamentare distinta da quella del Pdl, sarebbe impossibile far valere proprio nella sede istituzionale più propria. Una presenza all'interno del gruppo del Pdl comporterebbe insomma, inevitabilmente, la scomparsa dei repubblicani dal Parlamento, addirittura dagli atti ufficiali che del suo lavoro sono espressione. E allora c'è perfino da chiedersi almeno per chi voglia ancora giocarsi la carta della sopravvivenza del PRI che senso ha avuto farsi eleggere in Parlamento se poi dal Parlamento si intende scomparire come repubblicani. Ben venga allora, come male minore e obbligato, la scelta del gruppo misto. Purché non sia intesa come un fatto puramente tecnico, ma come il primo passo di una strategia coerente, che ha per obiettivo la difesa valoriale e programmatica della storia repubblicana. In una prospettiva che è quella di creare la forza liberaldemocratica di cui il paese ha bisogno. Tutto questo non mette in discussione, beninteso, il sostegno al governo Berlusconi. Le sue prime scelte dai rifiuti di Napoli alla sicurezza, dalla politica economica e fiscale alla politica estera vanno per ora nella direzione giusta. Non ci resta che sostenerle, lavorare quando necessario - per migliorarle, scommettere su questo governo per salvare il paese. Ma in autonomia, come sempre. |